L’Isola delle Rose: la Repubblica che non c’è
E’ il 1968 quando Giorgio Rosa, ingegnere bolognese, proclama l’indipendenza della Repubblica Esperantista dell’Isola delle Rose. Un mito protagonista degli anni sessanta, dimenticato man mano nel tempo e riportato all’attenzione delle vecchie e nuove generazioni grazie al film disponibile sulla piattaforma Netflix, “L’incredibile storia dell’Isola delle Rose”, dedicato a un episodio in cui si esprime pienamente lo spirito di quegli anni.
Il periodo
L’Italia degli anni sessanta è un paese caratterizzato da forti contraddizioni.
Rivoluzioni, voglia di ripartire, nuove idee imprenditoriali, l’affermazione del movimento Hippie italiano e la concezione che per i giovani, in quel periodo, tutto fosse possibile.
Il fatto
Dieci anni prima, l’utopia: nasceva l’idea di costruire un telaio di tubi in acciaio saldati a terra, che sarebbero poi stati trasportati via mare e ancorati al largo della costa. Così, con 400 metri quadrati ed ad una distanza di poco più di 11 km dalla costa romagnola, sorge nel mare Adriatico un isolotto artificiale posizionato accuratamente in modo tale da trovarsi appena al di fuori delle acque territoriali italiane.
La struttura, organizzata in 5 piani, prevedeva la realizzazione di bar, attività commerciali e camere d’hotel, conforme ad un’attrazione turistica sotto tutti i punti di vista, volta ad ospitare le numerose persone che in quegli anni affollavano la Riviera Romagnola.
Un progetto imprenditoriale che nascondeva la sua vera essenza: l’esigenza di creare un luogo in cui era accolta la diversità e dove abitanti e visitatori potessero convivere sulla base di un importante ed imprescindibile valore, la libertà.
Rosa istituì come lingua ufficiale l’esperanto, un governo autonomo, la moneta Mill –mai battuta- ed un’emissione postale, di cui puntualmente le lettere spedite venivano poste ad annullo in Italia, realizzando di fatto una micro nazione. Decisioni, queste, prese volutamente per accentuarne la sovranità.
I primi ostacoli si verificarono sin dal principio a causa della burocrazia italiana e l’affermazione di uno Stato autonomo ed indipendente venne intesa come una “dichiarazione di guerra”, obbligando la politica italiana ad interessarsi della questione in modo serio. Fino ad allora, infatti, le autorità avevano osservato con occhi increduli la realizzazione del progetto senza poter agire poiché la struttura era al di fuori della loro potestà.
In un momento di crisi, caratterizzato da continue minacce di abbattimento, la questione viene presa a cuore dai giornali tedeschi che compresero la grandiosità dell’impresa. L’attenzione mediatica produsse persino richieste di cittadinanza e proposte d’acquisto degli spazi.
L’inizio della fine
L’interpretazione prevalente dell’impresa di Rosa in quegli anni fu duplice: da una parte si pensò che si trattasse di un escamotage per non pagare le tasse, dall’altra che il progetto potesse addirittura minare la sicurezza nazionale.
Dopo solamente 55 giorni dalla dichiarazione d’indipendenza e dall’inaugurazione effettiva, arrivò l’ordine di demolizione e la piattaforma venne abbattuta con l’utilizzo di 2 tonnellate di esplosivi.
Si conclude così il sogno di un visionario che si oppose alle regole, dimostrando come un’idea incredibile possa rimanere viva nel tempo.