“Flawless” la startup che minaccia l’arte del doppiaggio
Quante volte, guardando un film o una serie tv, abbiamo trovato discordanza tra le labbra del personaggio che si muovevano in una lingua (quella originale) e il suono delle parole che ascoltavamo in italiano? Forse mai o forse una o due volte data la qualità del doppiaggio italiano. Questa opinione non è sicuramente condivisa dai due fondatori di “Flawless”, la nuova startup londinese, intenta ad eliminare il problema alla radice, provando a rivoluzionare il mondo del doppiaggio attraverso l’intelligenza artificiale.
“Deepfake” o innovazione?
Una tecnologia simile a quella usata dai due fondatori della startup è stata già utilizzata per i cosiddetti video “deepfake”, dove si lavora sull’intero volto del personaggio che tramite l’intelligenza artificiale è portato a dire ciò che si vuole. Una tecnica che ha portato non pochi problemi anche nel mondo dell’informazione, già assediata dalle fake news.
Gli obiettivi
Questa volta però, “Flawless” il cui obiettivo è insito nel nome, promette di lavorare solo sul movimento delle labbra per adattarlo alla lingua nella quale si vuole ascoltare il prodotto.
La startup parte dall’interpretazione originale di un film o serie tv, chiedendo poi a qualcuno di recitare le stesse battute in un’altra lingua non preoccupandosi del sincrono tra labbra e parole. Per finire, usando il software “Truesync”, la startup fonde le due interpretazioni portando le labbra del personaggio a muoversi nella lingua prestabilita.
Secondo i due fondatori il metodo consente di ridurre i costi e avere insieme un prodotto di qualità superiore a quello del doppiaggio tradizionale, non esente dall’errore umano. Poiché se così fosse anche l’arte del doppiaggio italiano nata negli anni ’30, la più famosa e importante al mondo, sarebbe destinata a scomparire.
Ma è davvero così?
Lo abbiamo chiesto a Liselotte Parisi, assistente e direttrice al doppiaggio di alcune delle più importanti società in Italia, oggi docente di tecnica del doppiaggio per la “Voice Art Dubbing”.
Alla luce dell’avvento di questa nuova Startup, il mondo del doppiaggio è diviso tra preoccupazione e interesse. Ma la spersonalizzazione di un mestiere artistico come quello del doppiatore, vale il taglio dei costi? E soprattutto, potrebbe dare gli stessi risultati?
Chiaramente no. Non può valere la spersonalizzazione di un mestiere come quello del doppiatore, che di per sé è un vero e proprio attore se non doppio attore, poiché deve rifare la stessa scena recitando un dialogo già recitato in precedenza in un’altra lingua, dando lo stesso risultato. Il “Sync”, e di conseguenza il movimento delle labbra che rappresentano il fulcro del lavoro del doppiatore, non sono però l’unica cosa da dover prendere in considerazione. Il doppiatore deve concentrarsi anche sull’espressione, sugli occhi dell’attore e dare la stessa enfasi durante il doppiaggio. Se un film è ben doppiato con una voce coerente a quella dell’attore e con una recitazione all’altezza, il movimento delle labbra non perfettamente in sincrono non risulterà mai troppo disturbante. Il doppiatore deve capire il contesto nel quale l’attore si trova e carpirne importanza. L’emozione prenderà e dovrà sempre prendere il sopravvento. Una tecnologia, una macchina, per quanto perfezionabile e perfezionata, non potrà mai dare lo stesso risultato.
Molte persone però sono convinte che l’IA possa essere la soluzione per quelle situazioni dove il doppiaggio disturba la visione del film. Ma perché accade ciò? È lo spettatore ad essere diventato più esigente o non ci sono più i doppiatori di una volta, oggi spesso sostituiti da influencer, webstar e anche calciatori?
Questo accade perché il doppiaggio, in Italia e non, è in crisi. Abbiamo una bulimia di contenuti che richiede una velocità di produzione impossibile, e un abbattimento dei costi che vanno a colpire inevitabilmente la qualità della recitazione, spesso affidata a società di doppiaggio quasi sconosciute, che si avvalgono di attori inesperti. Lo spettatore non risulta più esigente, ma brama solamente il doppiaggio di prodotti stranieri, in tempi record, pretendendo anche un doppiaggio di alta qualità. Ma la rapidità non è sinonimo di qualità.
Quando io ho cominciato a lavorare in questo ambito, le società erano pochissime e non si badava a spese. Oggi, il ruolo del doppiatore viene assegnato anche a chi fa “nome” e a chi può fare pubblicità al prodotto (vd. Calciatori, influencer ecc), ed è per questo che dal 2019 ho deciso di cominciare ad insegnare. Ho capito che solo tramite l’insegnamento si può trasmettere una determinata passione con dei valori per un’arte come questa. Solo in questo modo sarà possibile formare un’altra ottima generazione di doppiatori.
Com’è possibile quindi risollevare la categoria e riportare in auge la scuola di doppiaggio italiana?
Investendo il più possibile nelle scuole di doppiaggio, poiché se è vero che il doppiaggio mondiale non è lo stesso ovunque, allora è giusto proteggere il più importante: quello italiano. È l’unica arma che abbiamo per combattere queste nuove tecnologie volte e robotizzare tutto o quasi. Soprattutto partendo da Roma, dove si ha una tradizione nell’arte del doppiaggio che non è paragonabile a nessun’altra città italiana proprio perché qui è nato tutto.
Se una tecnologia del genere, per quanto discussa, dovesse prendere il sopravvento verrebbe contrastata in toto? O è possibile una convivenza?
Non ho dubbi nel credere che se dovesse prendere il sopravvento, sarebbe contrastata in toto, almeno in Italia. Mi auguro non si arrivi a questo, sperando che in qualche modo si faccia un passo indietro, altrimenti sarebbe più giusto guardare il tutto con l’uso dei sottotitoli, anche al cinema. Si potrebbe pensare ad una convivenza, per abbattere i costi, circa gli spot o vari speakeraggi, ma il lavoro del doppiatore è fatto anche di questo. Ci sono professionisti che hanno iniziato e/o costruito la loro carriera, occupandosi di spot. Per questo motivo non credo si possano aprire le porte a questa nuova tecnologia, neanche per prodotti “minoritari”.
Alla luce di questi avvenimenti, quali sono i consigli che darebbe a un/a ragazzo/a che vorrebbe avvicinarsi al mondo del doppiaggio? Lei come si è avvicinata a questo mondo?
Ai ragazzi consiglio di mostrare umiltà, soprattutto per chi viene dal teatro che molto spesso viene considerato un trampolino di lancio, e che effettivamente lo è e lo è stato per tutti i grandi doppiatori viventi che abbiamo oggi. Ma bisogna sempre essere coscienti del proprio percorso, poiché il teatro può dare una preparazione più comica e meno drammatica all’attore o viceversa. Mentre nel doppiaggio bisogna imparare a fare ogni cosa, ed è quello che noi insegnanti cerchiamo di trasmettere ai ragazzi. Sarebbe bello poter avere dei laboratori di doppiaggio all’interno delle scuole, investendo in quest’arte spesso messa da parte, ma essenziale per il cinema come noi lo conosciamo.
Il mio percorso, è iniziato quasi per caso, grazie alla conoscenza di Gabriella Bompani, assistente al doppiaggio e amica di famiglia che mi prese in simpatia. Mi cominciò a portare in sala di doppiaggio e io cominciai ad appassionarmi e a fare mille domande. Quelle domande e quell’interesse mi portarono poi a raccogliere la sua eredità come assistente al doppiaggio e io lasciai l’università per inseguire il mio sogno. Perché alla fine di tutto la passione resta il fulcro di ogni cosa, soprattutto nell’arte che merita di essere tutelata ad ogni costo.