ChatGpt, è davvero il caso di avere paura?
Dalla sua data di lancio (30 novembre 2022) non si fa altro che parlare di ChatGpt. Si tratta di un prototipo di chatbot, ossia di un software basato sull’intelligenza artificiale e sul machine learning (apprendimento automatico), capace di rispondere a domande, conversare e tanto altro ancora. Gli esperti del settore hanno definito questa nuova tecnologia qualcosa di rivoluzionario. Prima di domandarci se sia o meno il caso di avere paura delle sue implicazioni, bisogna innanzitutto comprendere di cosa si tratta.
Come funziona ChatGpt
Questo prototipo è stato realizzato da OpenAi, l’ente non profit fondato dal noto imprenditore sudafricano Elon Musk nel 2015. Letteralmente la sigla ChatGpt sta per “Generative Pre-trained Transformer”, in altre parole “trasformatore pre-istruito generatore di programmi di dialogo”. In pochissimi mesi, il chatbot di OpenAi conta già milioni di iscritti. La registrazione è gratuita e una volta effettuata è possibile chiedergli qualsiasi cosa ci passi per la testa. ChatGpt, utilizzando le sue informazioni e conoscenze, è in grado di formulare una risposta sensata. Non è un caso, infatti, che moltissimi studenti abbiano fatto ricorso a questa nuova tecnologia per poter svolgere i propri compiti: realizzare una presentazione power point, scrivere un saggio, risolvere uno studio di funzione. Per questa ragione, molti hanno cercato di metterla alla prova e non sempre ChatGpt è stata capace di eccellere, ad esempio ha detto che l’uomo è stato su Marte, considerando le missioni Apollo. Alle domande di tipo personale si avvale della facoltà di non rispondere: “sono un modello di linguaggio addestrato e non posso provare le emozioni…”, così si giustifica. La domanda che a questo punto sorge spontanea è quanto c’è dunque di “umano” in questi software?
Cosa divide l’essere umano dall’AI
La creatività, come ha potuto constatare il giornalista Federico Fubini, chiedendo a Chatgpt di comporre una poesia, è ciò che ci divide dall’intelligenza artificiale. In generale, ciò che non è replicabile è la nostra capacità di esprimere sentimenti profondi. Il software in questione si è mostrato capace di imitare tutto questo in maniera “relativamente plausibile”, sostiene il giornalista. Questo significa che, in particolare il prodotto di OpenAi, sta cercando di effettuare un salto di qualità, per certi versi inquietante. Nicola Grandis di Asc27, start up italiana che opera proprio nel settore dell’intelligenza artificiale, ha spiegato come queste macchine riescano a fare tutto ciò:
“immaginiamo che una persona abbia potuto leggere e rileggere migliaia di volte tutto l’internet conosciuto, ponendogli un quesito lui produrrà una risposta di tipo nozionistico, generata dalla matematica”. Interessante è il paragone che rende immediata la comprensione del funzionamento del Chatbot: “come un ragazzino che impara a memoria, non ha la minima attinenza con l’intuito, con la creatività di noi esseri umani”.
Il rischio, o sarebbe meglio dire il pericolo, si manifesta nel momento in cui vengono trascurati questi aspetti importanti. Poniamo il caso in cui ci si rivolga a Chatgpt, come troppo spesso accade con i semplici motori di ricerca, per formulare una sorta di diagnosi medica. La risposta generata non potrebbe in alcun modo sostituire il consulto di un medico. Quello che farebbe il software sarebbe semplicemente mettere insieme informazioni, attraverso internet, fornite da persone che manifestano gli stessi sintomi a lui descritti.
In che modo possiamo difenderci
Per potersi difendere è necessario tenere a mente che si ha a che fare con una macchina che funziona su livelli matematici, che è sì in grado di supportare e semplificare l’attività umana, ma che non si tratta di un’entità senziente. Per questo motivo sono già in corso molte attività regolatorie che impongono di dichiarare, ai fini della tutela del fruitore, quando un determinato contenuto (per esempio una pagina web) è stato prodotto attraverso l’utilizzo di queste tecnologie. Ma è evidente che bisognerà fare molto di più. Inoltre, non è azzardato affermare che il settore su cui l’intelligenza artificiale avrà maggiore impatto sarà proprio quello dell’istruzione. È proprio da quest’ultimo che si attende una risposta immediata, che tenga conto di questa evoluzione tecnologica, senza sottovalutarla, magari utilizzando un tipo di didattica che punti a sviluppare maggiore capacità critica e creatività nei giovani, evitando l’assegnazione di esercizi compilativi, gli unici attraverso cui Chatgpt sarebbe in grado di sostituirci.