Una giornata al mare (ai tempi del COVID-19)
L’arrivo allo stabilimento…
Alzo lo sguardo e mi dirigo verso il bagnino che mi chiama, grata per aver potuto finalmente smettere di far parte della lunga –ed ammirevolmente distanziata- fila che dai parcheggi prosegue fino all’ingresso dello stabilimento. Pensa se non avessimo prenotato, mi lamento ancora una volta con mia madre, che mi rivolge uno sguardo a metà tra il divertito e il rassegnato mentre si avvicina al tavolino dell’accoglienza. Ed è qui che capisco finalmente il motivo per cui la fila scorresse così piano: tra la igienizzazione, la rilevazione della temperatura corporea, la dichiarazione di non riportare nessuno dei sintomi del COVID, la spiegazione dettagliata delle nuove regole dello stabilimento e il “mi dia un altro po’ di gel, di questi tempi non si è mai sicuri di averne messo abbastanza”, sono passati un bel po’ di minuti assolati.
…la distanza tra gli ombrelloni…
Il nostro ombrellone è il numero 11, situato a metà tra quello di una famiglia numerosa ed un campetto di beach volley. Dopo aver sistemato la mia borsa mi guardo intorno compiaciuta del rigoroso rispetto delle distanze tra le file di ombrelloni, fino a che il mio sguardo non si posa sul campetto, che fu teatro negli anni scorsi di innumerevoli sfide e corse sotto il sole. Mentre lo osservo, recintato e vuoto, mi risuonano in mente alcune delle regole dettate all’ingresso:” …per ora purtroppo si possono praticare, mantenendo la distanza, solo gli sport individuali, come nuoto o i racchettoni”. Sbuffo: sono sempre stata terribile a racchettoni.
…il bar!
La giornata scorre veloce, tra il tempo passato a fare il bagno, a prendere il sole, tra le partite a carte rigorosamente perse contro mio padre e la lettura di uno di quei libri che tutti ritengono troppo pesanti per essere considerati “letture da spiaggia”. Arrivata dunque al momento della diffusione dell’epidemia, uno degli snodi principali dell’attualissimo libro “Cecità” di Saramago, vengo interrotta dal mio fratellino che dice che mamma gli ha proprio appena detto che devo accompagnarlo a comprare il gelato. Lancio un’occhiata scettica a mia madre che dorme beatamente sotto il sole da ore, ma poi raduno portafoglio e mascherina e mi dirigo verso il bar.
Stavolta la fila è breve e quasi non faccio caso alle lastre di plexiglas, alla segnaletica a terra, al fatto che possa entrare un cliente alla volta e che sia necessario igienizzare le mani dopo aver toccato le monete di resto, talmente non ci faccio caso, che dopo aver dato il gelato a mio fratello addento tutta soddisfatta il mio cono al cioccolato.
Talmente non ci faccio caso, che sporco tutta la mascherina.