Adolescence, il difficile rapporto tra giovani e adulti
Con “Adolescence”, miniserie britannica approdata su Netflix a marzo, il mondo dell’intrattenimento si confronta con una delle domande più scomode del nostro tempo: che cosa sta succedendo agli adolescenti di oggi!? In soli quattro episodi, interamente girati in piano sequenza, la serie costruisce un’atmosfera densa, quasi claustrofobica, che costringe lo spettatore a non distogliere lo sguardo.
Il cuore della narrazione è l’arresto del tredicenne Jamie Miller, accusato dell’omicidio di una compagna di scuola. La serie, però, non si focalizza tanto sull’indagine, quanto sulle reazioni della famiglia del ragazzo, in particolare dei genitori, travolti da un senso di colpa, impotenza e confusione. Infatti il punto di forza non è tanto la cronaca dell’omicidio, quanto piuttosto la dissezione del vuoto comunicativo che ha permesso a un ragazzo apparentemente “normale” di smarrirsi in un abisso interiore sconosciuto agli adulti che lo circondano.
Il contesto psicologico
Il contesto psicologico diviene quindi centrale. Jamie non è un mostro, ma il prodotto di dinamiche emotive irrisolte, isolamento sociale e, soprattutto, dell’influenza di comunità online “tossiche”, dove ideologie misogine e retoriche radicali trovano terreno fertile tra giovani fragili in cerca di identità ed appartenenza. La serie introduce, con efficacia e rigore, il concetto di manosfera, uno spazio digitale dove la mascolinità viene ridefinita attraverso il rifiuto dell’empatia e il culto della rabbia.
Dal punto di vista clinico, “Adolescence” può essere letta come una potente metafora dell’alienazione adolescenziale. Jamie incarna il fallimento di un sistema educativo ed emotivo incapace di offrire alternative alla polarizzazione: la famiglia cerca, ma non trova, la scuola segnala, ma non interviene, il digitale offre risposte rapide, ma distruttive. Il vero antagonista non è il singolo, ma l’ambiente in cui cresce, una realtà in cui l’assenza di intelligenza emotiva diventa terreno fertile per l’odio.
Una scelta ad hoc
La regia accentua questa sensazione con l’uso del piano sequenza: nessun taglio, nessuna fuga. È un invito, o forse un obbligo, a restare presenti, ad affrontare il disagio senza distrazioni. La scelta stilistica è coerente con l’obiettivo della serie: mettere lo spettatore nella posizione scomoda dell’osservatore impotente.
Uno spunto di riflessione
“Adolescence” non è un mero prodotto per intrattenere, è piuttosto un documento sociale, una fotografia della società odierna. Parla ad ognuno di noi, non solo agli educatori, agli psicologi ed ai genitori, in maniera tale che un domani si possa quanto più possibile arrivare a costruire modelli nuovi di ascolto, di cura e di prevenzione. La serie non offre soluzioni facili, ma lascia un’eredità pesante: il dovere di guardare negli occhi una generazione in crisi, non con paura, ma con responsabilità. Una visione necessaria, soprattutto in un contesto accademico che ha il compito di formare coscienze critiche e sensibili alla complessità del presente.