Cultura

Andrea Bocelli ad Aiko: le sue parole piene di speranza

Due anni di pandemia, di sofferenza e di tanta “anormalità”, alla quale ci stiamo ormai abituando.  Negli scorsi mesi abbiamo tuttavia avuto la possibilità di vedere il mondo della cultura e dello spettacolo, un settore molto colpito, iniziare a risollevarsi.  Siamo tornati al cinema, a teatro e ad ascoltare i nostri artisti preferiti dal vivo.  Andrea Bocelli, una voce unica italiana, si è raccontato in questa intervista ad Aiko, sottolineando quanto sia necessaria una ripresa della cultura, dell’arte e soprattutto della sua amata musica. 

L’intervista

Dopo due anni di pandemia senza potersi esibire davanti al pubblico Lei riparte in grande con un tour oltreoceano. Come si sente in questo momento? Portando con sé sul palco il bagaglio di questi mesi, dal punto di vista artistico (ma anche personale) sente di avere qualcosa in più?

Mi sento come un atleta che riprende a fare gare importanti, dopo un lungo periodo fuori dallo stadio, in stato di forzato riposo. Dunque sono molto felice ed anche un po’ preoccupato! Non posso che gioire, naturalmente, di questo graduale ritorno alla normalità.

Il mondo ha necessità di tornare a fare cultura e a frequentare l’arte, per ritrovare la fiducia, per ripartire dai valori. Ed è questo il messaggio forte che desidero trasmettere attraverso il mio canto e attraverso i concerti che tengo in questi mesi. Ho molto sofferto l’impossibilità di incontrare il mio pubblico dal vivo, di non vivere per così tanto tempo (e per la prima volta in 25 anni di carriera) quel rapporto diretto che si instaura col pubblico nel corso di un’esibizione dal vivo. Mi sono mancati gli abbracci delle persone, la fisicità della realtà, la cui verità e forza non sono mai surrogabili tramite il monitor di un computer. Quello del lockdown è stato un periodo dolorosamente inedito per la nostra generazione. Al netto delle preoccupazioni per la grave ferita sociale, oltre che sanitaria, le cui cicatrici porteremo a lungo, mi ha turbato il fatto che questa tempesta globale, instillando la tossina del terrore, abbia di fatto limitato il valore fondamentale, proprio dell’essere umano: la libertà.

Sapendo che mi sto rivolgendo a studenti universitari e futuri giornalisti, tengo a sottolineare come – non solo in Italia – per un lungo e tormentato periodo una serie di risoluzioni abbiano gravemente penalizzato la musica e la cultura in genere. Abbiamo trascorso più di un anno senza concerti, senza opere, senza arte… Un lungo periodo in cui si sono perse tante opportunità, dato che quando parliamo di arte (e dunque anche di musica) ci riferiamo a un dono del cielo atto alla promozione dello spirito, e quando non si promuove lo spirito, il rischio è che quest’ultimo retroceda.

Tale ruolo vitale, temo sia stato sottovalutato e questo problema non adeguatamente considerato e trattato. È un grave errore penalizzare la cultura proprio perché tutte le eventuali soluzioni a questa pandemia e a quelle che verranno proprio, alla cultura sono affidate. Senza cultura non si risolve alcunché: se non si premia la cultura, se non le si dà la precedenza, allora ci troveremo, un domani, ad essere curati da medici che non sanno curare, difesi da avvocati che non sanno fare il proprio lavoro, amministrati da commercialisti incapaci e così via.

Credo che il nostro paese attualmente abbia bisogno di speranza. L’esperienza di Believe in Christmas anche quest’anno sicuramente ne regalerà a molti. 

Quanto è importante per Lei portare avanti questo progetto insieme a Sua figlia?

Mia figlia Virginia ama la musica, le piace cantare e studia pianoforte (oltre che danza), ma al momento il suo coinvolgimento sul palcoscenico è poco più di un gioco, così come deve essere. Ciò non toglie che studiare musica sia utile sempre e comunque, poiché fortifica e rende le persone migliori.

L’evento natalizio citato, concepito secondo la regia creativa di un grande artista, Franco Dragone ( l’inventore delle magie del “Cirque du Soleil”) , personalmente l’ho molto amato. È stato realizzato dal vivo e proposto in live-streaming con spettatori da oltre cento paesi… A ulteriore conferma che la gente ha sete di bellezza e di spiritualità, che ha necessità di ripartire da valori più alti. “Believe in Christmas” non a caso porta con sé un verbo cruciale che dà anche il nome al mio ultimo album: “Believe”.

Un disco il cui concept ruota intorno a tre concetti fondamentali, il primo dei quali è la fede. Che insieme alla speranza e alla carità costituiscono le virtù teologali: i fondamenti dell’agire cristiano, ma parallelamente tre princìpi etici universali… Parole interconnesse, perché senza la speranza, restiamo intrappolati nello sconforto, senza la fede la vita è una tragedia annunciata, senza la carità non può esserci fede e neppure speranza.

Ho sentito l’esigenza di suggerire, in musica, un percorso artistico ed emotivo capace di parlare all’anima, portando in dono all’ascoltatore un incentivo a incontrare la propria dimensione interiore e ad ascoltarne le ragioni.

Chiara Collinoli

Studio comunicazione e giornalismo, mi racconto attraverso la scrittura e la fotografia.

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