Cultura

Civil war: la guerra vista dai cronisti

Alex Garland, regista di hit di fantascienza come “28 giorni dopo”, “Ex machina” ed “Annihilation”, torna sul grande schermo col suo nuovo pungente capolavoro “Civil War”: protagonista la grande Kristen Dunst nei panni della fotografa di guerra Lee Smith.

Distopia o cupa realtà? 

Civil War capovolge lo spettatore all’interno di un’ipotetica guerra civile americana: veniamo immersi in medias res in una realtà quasi apocalittica, nel mezzo di una guerra civile contro un presidente dittatoriale e carnefice, responsabile di aver diviso la nazione in fazioni. Ormai ha i giorni contati, infatti già dai primi minuti del film sappiamo che ci sarà una presa di Washington e della Casa Bianca da parte dei ribelli. 

Il filo conduttore del film è la violenza e gli estremi a cui questa può arrivare.

Un film con un messaggio politico forte, che ha chiari riferimenti alla nostra realtà attuale, e che fa riflettere su un verosimile e agghiacciante futuro che potrebbe vederci protagonisti. 

Giornalismo protagonist

La peculiarità della pellicola però sta proprio nei suoi protagonisti: i giornalisti, tra cui l’acclamata fotografa di guerra Lee Smith, i reporter Joe (Wagner Moura) e Sammy  (Stephen McKinley Henderson), e la giovane aspirante fotografa Jessie (Cailee Spaeny).

Loro non sono eroi, non prendono una posizione; il giornalismo rappresenta il pilastro della democrazia, la voce di tutti, ed è così che accade anche all’interno del film, dove i nostri protagonisti hanno solo un obiettivo: riportare in modo crudo e reale la verità della guerra e riuscire ad intervistare il presidente prima che esali l’ultimo respiro.

Oggettività e freddezza sono le caratteristiche principali della protagonista Lee, che dopo essere sta I ta per anni una fotografa di guerra fa i conti con la violenza dell’essere umano imparando a non farsi impressionare. Il suo scopo è soltanto “ottenere la foto perfetta”, in quanto un’immagine non solo descrive la storia, ma ha anche il potere di cambiarla. Un misto tra professionalità e fanatismo, la cui linea che li divide è sottilissima e quasi impercettibile, soprattutto se si tiene conto che un buon documentario vuol dire rischiare la vita per ogni scatto.

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