Donne afghane in Italia, “Noi eroine sociali”
L’Afghanistan, vista la sua posizione geografica, ormai da tempo rappresenta il terreno di ribellione più importante fra le forze nazionali e le grandi potenze internazionali. La sua cornice sociale assai complicata, divisa tra tante etnie, ha creato una situazione di continuo conflitto.
Oggigiorno in quel Paese, dilaniato da un periodo di 30 anni di guerra, risulta assente una rete economica che non sia influenzata dalla guerra locale, transfrontaliera e internazionale, o dalla coltura dell’oppio.
Molto difficile la condizione delle donne, alle quali sono state imposte una serie di restrizioni che rappresentano un ritorno al passato. Aiko è riuscita a rivolgere tre domande a una donna della Onlus Pangea, organizzazione no profit che dal 2002 lavora per favorire lo sviluppo economico e sociale delle donne afghane e delle loro famiglie, costretta a lasciare il suo Paese e ora rifugiata in Italia. L’intervista è in forma anonima per ragioni di sicurezza.
Le donne di “Pangea” come hanno vissuto l’abbandono dell’Afghanistan?
“Da eroine sociali. L’abbandono dell’Afghanistan l’abbiamo voluto affrontare tutte insieme, donne di tutte le età, saltuariamente siamo scese in strada per far rispettare i nostri diritti, le nostre libertà, e poter avere un periodo di serenità e pace”.
E a proposito della violenza sulle donne afghane da parte dei Talebani?
“Successivamente alle manifestazioni portate avanti da noi in Italia e in altri Paesi i Talebani hanno cominciato a picchiare tutte le donne presenti in Afghanistan, entrando nelle case, non permettendo più alle stesse di usare i telefoni cellulari, di comunicare, di studiare, e mettendo addirittura a rischio la loro vita e quella dei loro familiari”.
Qual è il motivo cardine che ha spinto voi donne afghane, protagoniste di Pangea, a venire qui in Italia?
“In Italia, noi donne afghane, ci siamo trovate a nostro agio. Siamo venute con piacere nel vostro Paese perché in Afghanistan è assente un sistema educativo ed ancora oggi le bambine e le loro famiglie rischiano avvelenamenti, uccisioni e minacce”.