La felicità: una questione di DNA
Arthur Schopenhauer diceva che l’uomo nasce destinato ad essere infelice. Niente di più falso: ad oggi, numerosi studi nell’ambito delle neuroscienze hanno dimostrato che la nostra probabilità di essere felici o tristi dipende in gran parte dal Dna e dai geni ereditati in famiglia.
Il gene della felicità
Secondo una ricerca pubblicata dall’Università di Edimburgo sul “Journal of Psychological Science”, la felicità dipende da molteplici fattori. Su tutti spiccano, senz’altro, le influenze situazionali esterne (come la carriera professionale o lo stile di vita), e gli influssi genetici che inducono particolari tratti della personalità (come la tendenza ad essere estroversi o introversi). Da questo filone di ricerca è nata l’ipotesi del cosiddetto gene della felicità, individuato nel 2016 da un consorzio internazionale di 142 centri di ricerca che hanno studiato il genoma di quasi 300mila persone. I risultati dell’indagine, pubblicati su “Nature Genetics”, hanno fatto emergere che la felicità è determinata a livello genetico nella misura del 40%, per cui alcune persone sono biologicamente predisposte ad essere più felici di altre. Per scoprire i geni della felicità, lo studio ha coinvolto 181 ricercatori, tra i quali spiccano i nomi di Meike Bartels e Philipp Koellinger, dell’Università di Vrijie (Amsterdam), meritevoli di aver individuato tre varianti genetiche collegate alla felicità che, a loro volta, risultano avere una correlazione con i sintomi della depressione e della nevrosi. Cosa significa, in parole spicce, tutto questo? Per Bartels, la scoperta di questi geni potrebbe aiutare in futuro a mettere a punto delle terapie utili per ridurre i livelli di ansia e per curare patologie come la depressione e la nevrosi.
Sì al Dna, ma non esiste felicità senza volontà
L’esperienza della felicità, alla luce di questi dati, risulta quindi essere fortemente connessa alla componente genetica. Tuttavia, se è vero che i geni sono in grado di predisporre (più o meno) un individuo verso la felicità, è altrettanto vero che la genetica non è l’unico fattore determinante. A proposito di questo aspetto, il genetista Giuseppe Novelli, rettore dell’Università di Roma Tor Vergata, afferma che “questi geni ci rendono più empatici o meno ansiosi, ma è chiaro che l’ambiente, l’aspetto sociale ed economico, giochino un ruolo importante”. Da questa dichiarazione si evince che la ricerca della felicità non si basa solo ed esclusivamente su fattori genetici, ma anche sulla volontà e sull’impegno del singolo individuo, che ha il potere di mettersi in gioco per modificare in meglio le proprie condizioni di vita. I tre cardini attorno ai quali ruota il concetto di felicità sembrano essere questi: sentirsi soddisfatti; essere capaci di gioire delle cose di ogni giorno; avere uno scopo. Non a caso tutti questi aspetti sono influenzabili dall’azione dell’uomo.
Guida alla felicità
Ma allora quali sono le strategie migliori per raggiungere la felicità? Secondo Novelli, non c’è una risposta univoca a questa domanda. Secondo il genetista, infatti, “i criteri della felicità sono diversi da persona a persona e da popolazione a popolazione”. Tuttavia, risulta essere scientificamente provato che il contatto con la natura, l’esercizio fisico o il volontariato siano tutte attività che possono contribuire ad una felicità duratura, perché stimolano la produzione delle endorfine, gli “ormoni della felicità”.