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Hong Kong, una questione di democrazia.

Hong Kong, mentre la regione al centro della cronaca internazionale a causa delle recenti proteste si prepara alla quarta ondata di Covid-19, altri 8 attivisti sono stati arrestati. Cos’è successo e cosa sta succedendo.

S.O.S PERICOLO CINA

Hong Kong è una regione amministrativa speciale della Cina dove vivono circa sette milioni di persone. Dopo essere stata una colonia britannica, la regione passò nelle mani del governo cinese nel 1977, dove, a causa della forte influenza anglosassone, vige un modello di ordinamento giuridico diverso da quello della Cina continentale: il Common Law. Il tutto è stato riassunto negli anni sotto l’ormai famosa espressione “Una Cina, due sistemi”. Come spesso succede nel corso della storia, le grandi potenze non accettano mai completamente l’indipendenza di una parte della popolazione che vive all’interno del proprio Stato. La Cina, a partire dal decennio scorso (Hong Kong ha ottenuto l’indipendenza solo nel 1997), sta cercando di ridimensionare l’autonomia del Paese. Attraverso riforme di vario genere, Pechino sta tentando così di arginare la libertà di autodeterminarsi che spetterebbe di diritto ad ogni popolo.

LE PRIME GRANDI PROTESTE, LA RIVOLTA DEGLI OMBRELLI

Cosi nel 2014 iniziano i primi scontri, dove gli studenti delle università di Hong Kong e gli attivisti politici pro democrazia denunciarono pubblicamente le violenze subite dalla polizia. Ciò avvenne a causa della riforma elettorale voluta dal governo centrale, che prevedeva l’imposizione di candidati scelti da Pechino per le elezioni che si sarebbero poi tenute nel 2017. Nel settembre dello stesso anno, un corposo gruppo di cittadini occupò la piazza di fronte la sede del Governo, difendendosi dai lanci di lacrimogeni della polizia aprendo degli ombrelli e dando vita a quella che passò alla storia come “la rivolta degli ombrelli”. La legge venne poi bocciata poiché non riuscì ad ottenere il consenso dei due terzi della maggioranza del consiglio legislativo di Hong Kong. Gli studenti e gli attivisti ne uscirono vincitori, la democrazia aveva avuto la meglio e la Cina fu costretta a “battere ritirata”.

GLI ARRESTI, LE PERSECUZIONI E LE GRANDI PROTESTE DEL 2019

Nonostante ciò, la Cina non si è mai definitivamente arresa. Dal 2014 ad oggi, numerosi sono stati i casi di scomparsa e gli arresti di attivisti politici che difendono l’indipendenza del proprio paese, e svariati gli esempi di interventismo negli affari della vita politica del Paese da parte di Pechino e dei suoi funzionari. Nel 2019 i manifestanti tornarono ad occupare le piazze in seguito ad una nuova proposta di riforma da parte del governo cinese, che nel Febbraio dello stesso anno aveva richiesto un trattato sull’estradizione al governo di Hong Kong, mettendo nuovamente in pericolo l’ordinamento giuridico del paese e il modello definibile come “Una Cina, due sistemi”. Le manifestazioni portarono a duri scontri tra la polizia e i manifestanti, per lo più studenti. Nel corso del 2019 le proteste continuarono a scaglioni, fino ad intensificarsi. Sempre nel 2019, a seguito della “Legge sulla sicurezza nazionale” imposta da Pechino ad Hong Kong, con l’obiettivo di limitare ulteriormente l’elevato grado di autonomia della regione speciale. L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani ha affermato che attraverso la nuova normativa le libertà fondamentali saranno subordinate a quest’ultima a causa delle modifiche e l’introduzione di nuovi capi d’accusa. La legge sarà poi emanata dal Comitato permanente dell’Assemblea nazionale del popolo a fine giugno 2020, dando vita ad ulteriori proteste.

PANDEMIA E PROTESTE, GLI ULTIMI AGGIORNAMENTI.

Ad oggi la situazione ad Hong Kong è molto delicata; la pandemia di Covid-19 ha duramente colpito l’economia del paese (la disoccupazione è aumentata fino al 6%), creando forte preoccupazione tra la popolazione locale. Le imponenti proteste che avevano attirato l’attenzione di tutto il mondo hanno lasciato spazio a proteste più deboli e con un’affluenza minore. Gli arresti però continuano ad essere numerosi, basti pensare che durante la giornata dell’ 8-12-2020 sono stati ben 8 gli attivisti arrestati. Data la situazione, tutti i maggiori rappresentanti politici del nostro continente hanno espresso la propria preoccupazione definendo quella di Hong Kong “una causa a favore della democrazia e della libertà”, in verità però solo il governo inglese ha realmente agito per contrastare le prepotenze cinesi, aprendo le porte ai cittadini della sua ex colonia e promettendo loro la possibilità di ricevere la cittadinanza britannica nel caso in cui la situazione dovesse peggiorare.

Francesco Ferraro

Studente di Giurisprudenza Internazionale. Seguo la politica fin da quando ero bambino, mi piace viaggiare e scoprire nuove culture.

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