I civili raccontano la guerra: dall’Iraq a Gaza
Era il 1991 quando Tim Berners-Lee rese pubblico il World Wilde Web: una vera e propria rivoluzione che ha modificato nel profondo il mondo della comunicazione e il modo di fare informazione. Prima della fine degli anni Novanta chi si occupava di informare erano infatti, esclusivamente, i giornalisti, e i cittadini avevano un atteggiamento “passivo” nei confronti delle notizie. Grazie ad Internet, l’approccio verso la comunicazione è cambiato totalmente: i cittadini non si sono sentiti più delle “marionette” e i media tradizionali hanno dovuto fare i conti con questa nuova realtà.
Come nasce il citizen journalism
Un mezzo che ha consentito alle persone comuni di scrivere in rete un diario personale è stato il blog. Nato prima come weblog, era una vera e propria pagina web personale in cui gli utenti condividevano i propri interessi. Veniva visto poco più che come uno svago, ma in realtà i blog avevano delle grandi potenzialità, inizialmente sottovalutate. Il concetto di blog come strumento d’informazione inizia ad imporsi solo in occasione degli attentati alle Twin Towers dell’11 settembre 2001. I cittadini, che fino a quel momento avevano coltivato sui blog soltanto le proprie passioni, cominciano a raccontare in diretta quello che stavano vedendo dai palazzi e sulle strade di Manhattan. Per la prima volta i blog diventano fonti a disposizione per i giornalisti e per gli altri mezzi di comunicazione: ne parlano e li citano. Inizia, così, l’era del citizen journalism.
Il blogger di Baghdad
Nel 2003, durante il conflitto in Iraq, i blog mostrano la loro capacità di sfuggire a ogni controllo e di fornire un’informazione non ufficiale, in grado di condizionare la scelta dei temi da mettere in agenda da parte dei media tradizionali. Non si può non ricordare il famoso blogger di Baghdad. Nessuno inizialmente si fidava della sua identità: era troppo colto, padroneggiava un inglese troppo buono, e infatti sospettavano che si trattasse di un infiltrato Usa. Salam Pax (pace in arabo), pseudonimo scelto dal blogger, era un ragazzo di appena 29 anni, laureato a Vienna in architettura, che non smise mai di informare sulla guerra in Iraq, anche sotto le bombe, attraverso reportage brillanti e antiretorici trasmessi via internet sul suo blog. Il lavoro di Salam è stato importante per comprendere le vicende della guerra di cui non tutti erano a conoscenza, spesso perché le notizie che arrivavano erano solo una parte di ciò che accadeva davvero. Il suo diario ha permesso di conoscere la parte viva della guerra, mostrandone la mostruosità a chi, fortunatamente, non la stava vivendo. Quello che ha fatto Salam è ciò che oggi stanno facendo i cittadini di Gaza, e non solo.
I social: la lente di ingrandimento su Gaza
Dall’attacco del 7 ottobre di Hamas e dai successivi bombardamenti da parte di Israele non si è più smesso di parlare del conflitto. Ancora oggi, a distanza di mesi, è uno degli argomenti più caldi che i media non possono trascurare. Per la prima volta il conflitto israelo-palestinese sta avendo la giusta attenzione in tutto il mondo: su qualunque piattaforma social c’è qualcuno che parla, reposta o commenta questo conflitto e, con esso, la morte di migliaia di civili. Sono più di 36 mila i civili palestinesi morti finora sotto gli attacchi israeliani, senza contare i feriti, e ormai il numero di palestinesi sfollati a Gaza ha raggiunto la cifra di 1,9 milioni.
Davanti a questi numeri c’è chi crede non sia normale e umano stare zitti. Su Twitter è nata una sezione intitolata “Gaza Will Not Be Silenced” in cui i palestinesi, dai civili ai politici, aggiornano gli utenti su tutto ciò che accade nella loro striscia di terra: dalle condizioni dei civili alle diverse battaglie che avvengono tra politici palestinesi e israeliani. Non manca la condivisione di link di beneficenza per aiutare le famiglie che cercano di scappare dalla Palestina, oppure link di articoli online o di video che raccontano il conflitto dalle sue prime fasi, per consentire agli utenti di capire meglio la guerra israelo-palestinese e di poter avere una visione critica sugli avvenimenti.
Ma non finisce qui. Su Instagram sono state aperte diverse pagine che si dedicano esclusivamente a divulgare informazioni, video e foto, la maggior parte delle quali etichettate come “contenuti sensibili”, in cui si mostra la vita dei civili, giorno dopo giorno. Letstalkpalestine è il titolo di cinque pagine web, ognuna delle quali comunica in una lingua diversa: italiano, francese, inglese, spagnolo e tedesco. Queste pagine hanno aperto dei canali broadcast che aggiornano sul numero delle vittime e dei feriti, sia israeliani sia palestinesi, sui rifornimenti d’acqua, sul cibo e sulle cure, sugli avvenimenti in Cisgiordania e sui nuovi comunicati USA.
È impossibile non imbattersi in qualcuno di questi post, si è praticamente bombardati. Ed è una fortuna, perché proprio grazie a questo continuo bombardamento si innesca un meccanismo di curiosità nelle persone. Questo significa più visualizzazioni, più like, più viralità, più ricondivisione: basti pensare alla viralissima immagine All Eyes On Rafah che ha raggiunto più di 40 milioni di ricondivisioni.
Alcuni volti di chi racconta il massacro palestinese
Chi è attento alla causa non può non conoscere Motaz Azaiza, il reporter che racconta su Instagram i bombardamenti e i massacri nella Striscia di Gaza. Ha cominciato a lavorare come fotografo nel 2018 e quando è scoppiato il conflitto ha deciso di restare in Palestina, sua terra d’origine, per documentare tutto ciò che accadeva. Le sue immagine sono state prese da tutti i media: lui con in mano un peluche trovato tra le macerie dei palazzi bombardati, immagini di cadaveri o di quello che rimaneva dei corpi; lui con in braccio bambini ricoperti di sangue, mamme che piangono figli morti, figli che piangono i propri genitori uccisi. Con i suoi scatti è come se volesse dire “so che sono immagini orribili, ma è ciò che sta accadendo, apri gli occhi mondo”. E il mondo gli occhi li ha aperti.
In Italia, una voce che non smette di raccontare la storia palestinese è quella di Karem Rohana. Metà fiorentino e metà palestinese, da parte del padre, ha sempre difeso orgogliosamente entrambe le sue culture. Sul suo profilo Instagram “ti racconta la causa palestinese senza annoiarti”, così come c’è scritto nella sua biografia. Il suo modo di affrontare queste tematiche suscita molto interesse: toni sarcastici, eppure così seri alle orecchie di chi ascolta davvero. Nonostante i suoi video siano lunghi più di cinque minuti, ciò che dice e come lo dice ha attirato tante persone che della Palestina sapevano ben poco. Un’ulteriore battaglia che ha appoggiato Karem riguarda le università: insieme a tantissimi studenti dell’Università di Firenze ha protestato affinché venissero sospesi i legami con le università israeliane. Il suo sostegno è stato rivolto anche alle università di Bologna, Roma e Milano.
L’umanità ha solo un obiettivo oramai: se è il silenzio che bisogna combattere, allora lo si farà con il rumore.