La grande scommessa. Biden e Trump, espressione di un’America in crisi
Si gioca a colpi di gaffe la corsa per la presidenza degli Stati Uniti. Nonostante le dimenticanze di Biden e i problemi legali di Trump, i due si contendono (e per la seconda volta) la Casa Bianca. La loro sfida verterà principalmente su questioni interne, senza abbandonare l’“Impero”, come vorrebbe quella parte di popolazione insofferente al dispendio di energie e denaro oltre i confini. Un imperativo che vincolerebbe entrambi i candidati, che pure si presentano come antitetici, a partire dal piano della comunicazione.
“La leadership americana tiene insieme il mondo”, ha dichiarato Biden lo scorso ottobre. Segnalando la volontà di giocarsi la corsa anche sulle questioni estere, che hanno costretto l’America a rivolgere l’attenzione verso i teatri ucraino e mediorientale. Trump, invece, cavalca il sentimento americano che guarda con fastidio le enormi risorse spese da Washington all’estero, ma non può permettersi di rivolgere lo sguardo solo verso l’interno, con il rischio di lasciare scoperti ampi spazi che verrebbero presto riempiti da altre potenze, Cina e Russia in primis. L’unica competizione davvero vitale per gli Stati Uniti, però, è quella con Pechino, che punta a scalzare gli Usa dal podio di prima potenza globale. Sia Biden sia Trump hanno quindi la stessa priorità: evitare che questo accada.
Sul piano economico, i risultati dell’amministrazione in carica sono positivi. Eppure, solo il 36% degli americani approva la gestione di Biden. Secondo gli analisti, il motivo è legato a una componente “irrazionale” che porta l’elettorato a pensare che Trump abbia fatto meglio. Inoltre, il sostegno dem della classe medio-bassa e delle minoranze si è indebolito dopo che Biden non è riuscito a far approvare al Congresso il rafforzamento del welfare. Dati che sembrano giocare a favore di un cambio alla scrivania della Casa Bianca.
Anche in politica interna sono chiamati a risolvere gli stessi problemi – dall’immigrazione al controllo delle armi, dalla sorveglianza antiterrorismo alla sicurezza sociale, dal welfare all’assistenza sanitaria – proponendo soluzioni divergenti. Trump, in particolare, si rivolge alla middle-class, che ha visto un peggioramento del proprio tenore di vita e che ha sviluppato un risentimento nei confronti della politica, ritenuta responsabile dei problemi socio-economici.
Le loro politiche, dunque, avrebbero ripercussioni importanti sui singoli scenari sia interni sia esteri. Ma non per questo determinerebbero la configurazione di nuovi equilibri globali. I segnali di cambiamento – l’emergere di competitors come Cina e Russia, ma anche di altri Paesi che sfidano l’egemonia americana – non dipendono infatti da chi verrà eletto: Biden e Trump, quindi, porterebbero avanti presidenze diverse, ma non determinanti per il destino dell’Occidente.
Veronica Stigliani – Master in giornalismo della LUMSA