La Turchia di Atäturk
Oggi ricorre il 141° anniversario della nascita di Mustafa Kemal, chiamato “Atäturk” (letteralmente “padre della Turchia”), eroe nazionale prima, e poi fondatore e presidente della Turchia, alla quale apportò grandi riforme che trainarono il paese verso la modernità.
Il contesto storico
Per comprendere fino in fondo la grande trasformazione apportata da Atäturk in Turchia, bisogna definire il contesto storico e conoscere la situazione nella quale si trovava l’Impero ottomano alla fine dell’Ottocento. Da “terrore” dell’Europa, l’Impero ottomano era diventato “il grande malato” (come viene definito da molti storici), militarmente debole e diviso al suo interno. I suoi territori periferici erano diventati preda delle mire espansionistiche europee. Sarà proprio l’Italia, durante la guerra italo-turca tra il 1911 e il 1912, ad inaugurare lo smembramento finale dell’unità turca, attaccando la Libia; seguita poi dalla sconfitta turca durante la Prima guerra balcanica tra 1912 e il 1913. Il colpo di grazia all’Impero turco arriverà nell’agosto del 1920 con il trattato di Sèvres, il governo ottomano venne delegittimato (il sultano Maometto VI perse legittimità dopo la ratifica del trattato) e la guida politica del governo fu conquistata dal generale Mustafa Kemal, rivendicando l’indipendenza turca.
Mustafa Kemal dovette arginare fin da subito due grandi problemi, l’ostilità armena e l’offensiva greca sul confine meridionale. Per sconfiggere gli armeni, Kemal si assicurò l’alleanza con la Russia di Lenin, grazie alla quale il nuovo governo di Ankara riuscì ad ottenere numerosi aiuti militari, fondamentali anche per arrestare l’avanzata greca. La vera svolta avvenne nel 1921, quando Mustafa Kemal firmò un trattato segreto con la Francia, il trattato di Ankara. Con tale accordo la Francia arrestava le ostilità e i turchi riconoscevano la legittimità del mandato francese in Siria. Inoltre veniva riconosciuta l’esistenza del nuovo stato turco.
Successivamente con il Trattato di Losanna del ’23, vennero riconosciuti i confini dello stato turco (corrispondenti a quelli odierni).
Le riforme
Kemal fu eletto presidente il 29 ottobre 1923; durante la sua presidenza, che si caratterizzo per un indirizzo laico, furono raggiunti dei traguardi eccezionali, che trainarono l’intero paese verso la modernità. Iniziò un periodo riformatore sulla base di una di una ideologia di chiaro stampo occidentalista e avversa al clero musulmano: abolì il califfato e pose sotto controllo statale le organizzazioni religiose, la domenica divenne l’unico giorno festivo (non era più il venerdì), proibì l’uso del velo negli uffici pubblici e insieme ad esso, una serie di riforme volte ad eliminare le vestigia imperiali: come l’uso del “fez”, del turbante e dell’abbigliamento turco tradizionale, obbligando ad un abbigliamento “occidentale” e l’abolizione di barba e baffi per i dipendenti dei pubblici uffici.
Una delle più importati riforme apportate dal governo kemalista, fu sicuramente la parificazione dei sessi; le donne, ottennero nel 1934 il suffragio universale, alle elezioni del 1935 furono elette 18 donne in Parlamento. La partecipazione femminile alla vita politica era garantita dal nuovo codice civile turco de 1926 (sostanzialmente un codice civile svizzero con alcune modifiche, tra cui la presenza della pena di morte), che garantiva ampi diritti civili alle donne tra cui la libertà di voto e la possibilità di candidarsi. Veniva promosso un nuovo ideale di donna, che per lo stesso Atäturk, erano le “madri della nazione” senza le quali la Turchia non avrebbe mai potuto esprimere il suo pieno potenziale.
Fu anche riformato il sistema di misurazione fino ad allora vigente, veniva introdotto il calendario gregoriano in tutta la Turchia e nel 1928 fu introdotto il sistema metrico.
A garanzia della laicità dello stato era posto l’esercito, il quale avrebbe dovuto assicurare la continuità dei cambiamenti introdotti da Atäturk intervenendo nella vita politica ogni qual volta che tale eredità sia minacciata o messa in discussione. Nonostante questo importante ruolo ricoperto dall’esercito, la sua posizione fu notevolmente ridimensionata, riconducendola sotto il controllo civile: in particolare, i vertici militari non potevano far perte del Gabinetto di stato e gli stessi militari se volevano partecipare alla vita pubblica, dovevano dimettersi dai loro incarici.
La città di Costantinopoli cambiò nome in Istambul.
La Turchia di Erdogan
La Turchia oggi è terreno di grandi cambiamenti, tornano a fronteggiarsi due tradizioni diverse: quella del Partito Popolare Repubblicano (CHP), il più antico partito della Turchia fondato nel 1923 che rappresenta l’anima laica e socialdemocratica del paese e quella del Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP), fondato nel 2001, il cui “leader” è Recep Tayyip Erdoğan, attuale presidente della Turchia, rivolto invece verso una riconquista dei valori tradizionali e in particolare allo sviluppo dell’islam politico.
Gli atti compiuti da Erdogan in qualità di capo delle Stato non fanno altro che alimentare l’idea di una agenda neo-islamista del suo partito; non ultima la trasformazione che ha coinvolto la Cattedrale di Hagia Sophia (o come è meglio conosciuta Cattedrale di Santa Sofia), tornata ad essere una moschea nel 2020 annullando il decreto del 1934, che di fatto l’aveva resa un museo. Erdogan, nonostante i severi divieti, nel 2018 ha recitato un versetto del Corano andando contro agli sforzi compiuti da Atäturk nel suo cammino. Tale cambiamento rappresenta il primo grande passo che porterà a rinnegare l’eredità dell’eroe nazionale Mustafa Kemal, con l’obiettivo di decretare un’inversione di tendenza verso una politica a stampo islamista. Se infatti con il decreto del 1935, Atäturk aveva voluto mostrare che la Turchia era diventata laica, Erdogan nel 2018 ha voluto dimostrare il contrario con un ritorno della religione nella politica.