La Nakba Palestinese, catastrofe che si ripete
Immaginate di essere costretti ad abbandonare la vostra casa e portare la chiave con voi, sperando di tornarci un giorno. Invece, gli anni passano e la vostra vecchia casa diventa solo un ricordo, eppure quella chiave la conservate ancora perché non avete mai smesso di perdere la speranza. Questo è quello che hanno dovuto vivere i palestinesi. Questo è quello che sono costretti a vivere ancora oggi.
Cos’è la Nakba palestinese?
Lo sfollamento della popolazione araba palestinese dalle loro case, conosciuto come Nakba, “catastrofe” in arabo, avvenne durante la guerra civile del 1947-48, al termine del mandato britannico, e durante il conflitto arabo-israeliano del 1948, dopo la fondazione dello Stato di Israele. Furono più di 700.000 i palestinesi che abbandonarono la loro terra, nella quale non fecero più ritorno, neanche dopo il termine del conflitto. Questo causò negli anni una serie di complicazioni per i rifugiati palestinesi; nel 2015 furono registrati dall’UNRWA (Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi nel vicino oriente) 5.149.742 rifugiati, distribuiti in diverse aree: Giordania, Striscia di Gaza, Cisgiordania, Siria e Libano.
La Grande rivolta araba
Nel 1920 la Palestina cadde sotto il controllo britannico. Già a quel tempo la concentrazione di ebrei in Palestina era notevole, perché qui gli ebrei avevano intenzione di creare un loro stato. Due erano i popoli e due le culture, ma gli arabi non condividevano l’idea di “due popoli, due stati”; si appellarono perciò al nazionalismo, contrastando britannici ed ebrei. Si giunse alla Grande rivolta del 1936-1939, condotta dai nazionalisti palestinesi. Si trattò di una rivolta violenta, alla fine della quale i britannici decisero di contenere l’immigrazione ebraica, tradotta nel Libro bianco del 1939. L’opzione della ripartizione del territorio arrivò solo dopo la seconda guerra mondiale. I conflitti non accennavano a finire e sempre più ebrei popolavano la Palestina. L’ONU non ebbe altra scelta: il 29 novembre 1947 votò per il Piano della ripartizione, senza l’appoggio del Regno Unito e contro i Paesi arabi e musulmani.
Le conseguenze della ripartizione del territorio arabo
I palestinesi ricordano il Nakba ogni anno, il 15 maggio, un giorno dopo la fondazione dello Stato di Israele. Conclusa la seconda guerra mondiale, che portò molti ebrei a cercare rifugio in Palestina, l’ONU decise di ricorrere ad una ripartizione: il 57% del territorio sarebbe andato agli ebrei, il restante sarebbe stato dei palestinesi. Sempre per decisione dell’ONU, Gerusalemme rimase territorio neutrale. La decisione venne accolta positivamente dagli ebrei, così il 14 maggio nacque lo Stato di Israele, che fu riconosciuto dagli Stati Uniti e dall’Unione Sovietica. Ma il popolo arabo palestinese non accettò la ripartizione: la Palestina per secoli era stata di loro proprietà e avrebbero combattuto per la loro terra. Ne derivò la Guerra arabo-israeliana del 1948: gli arabi furono i primi ad attaccare, ma il contrattacco israeliano permise loro di conquistare gran parte del territorio destinato ai palestinesi. Il conflitto fu molto violento. Gli ebrei costrinsero i palestinesi, dopo la fondazione del loro stato, ad abbandonare la Palestina con la speranza di un ritorno. Durante la prima ondata furono 100.000 gli arabi palestinesi, principalmente membri delle classi agiate degli agglomerati urbani e un piccolo numero di fellahin, a fuggire fra il dicembre 1947 e il marzo 1948. Ma si fa riferimento alla seconda ondata quando si parla di esodo palestinese del 1948: tra i 250.000-300.000 palestinesi sfollati. È da questa ondata che i media iniziarono a parlare dei palestinesi e della guerra mai conclusa. Con la terza e la quarta ondata si arrivò all’espulsione di 750.000 palestinesi.
La seconda Nakba
Purtroppo la storia si sta ripetendo. Dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre, Israele non ha mai smesso di bombardare edifici, scuole e civili palestinesi. Iniziando da Gaza, radendola al suolo e costringendo i civili sopravvissuti alla fuga verso Rafah. A Rafah le famiglie palestinesi avrebbero dovuto trovare rifugio, eppure Israele, esattamente come 76 anni fa, non ha mantenuto la sua promessa. Missili israeliani sono stati lanciati sul campo profughi a Rafah durante la notte tra il 27 e il 28 maggio. Decine di civili morti tra le fiamme, tra cui molti bambini. Dove scappare ora, dove rifugiarsi? I civili chiedono aiuto anche attraverso i social (Tik Tok ed Instagram), e molte sono le iniziative di beneficenza partite dall’UNICEF, Medici Senza Frontiere, Save the Children, mentre il resto dell’umanità chiede, attraverso incessanti proteste, un “cessate il fuoco” e il riconoscimento dello Stato di Palestina.