Palestra di legalità. Disciplina, regole e diritto nello sport
“Palestra di legalità. Disciplina, regole e diritto nello sport”: è stato questo il tema di un convegno che si è svolto di recente a Roma nella sala Pia dell’Università LUMSA. Un evento realizzato per iniziativa congiunta della Fondazione Giovanni Paolo II per lo sport, dell’Università LUMSA e della rete magistrati Sport & Legalità, con la collaborazione di Duferco Energia, Libera (Associazioni, nomi e numeri contro le mafie), CSI (Centro Sportivo Italiano), Comitato di Roma e OINP (Osservatorio Italiano Non Profit).
Il Convegno
I lavori sono stati aperti dal rettore dell’Università LUMSA, prof. Francesco Bonini, dal presidente della Fondazione Giovanni Paolo II per lo sport, Daniele Pasquini, e dal direttore di Duferco Energia, Luca Masini, sostenitore dell’iniziativa. Il convegno ha visto gli interventi di Lucilla Andreucci, responsabile di Libera Sport, la rete di associazioni di Don Luigi Ciotti che opera in prima linea per la lotta alle mafie, e del cardinale Francesco Coccopalmerio, che ha offerto una riflessione sul tema “La bellezza e la necessità delle regole”. In conclusione dell’evento, una tavola rotonda moderata da Katia Arrighi (Studio Consulenti dello Sport), a cui hanno preso parte Claudio Marchisio, ex calciatore della Juventus e della Nazionale italiana di calcio, Alfredo Trentalange, già arbitro internazionale e past president dell’AIA (Associazione Italiana Arbitri), e Sergio Sottani, procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Perugia e presidente della rete di magistrati Sport e Legalità.
Abbiamo avuto la possibilità di fare qualche domanda a due ospiti che hanno partecipato all’evento: Alfredo Trentalange e Claudio Marchisio.
Alfredo Trentalange, l’arbitro offre un servizio
In questo convegno si è parlato di disciplina, regole e diritto nello sport. Chi meglio dell’arbitro rappresenta nel calcio tutti questi aspetti?
“Sì, l’arbitro non è una figura molto simpatica su questi temi, come il tema delle regole, il rispetto delle regole, della legalità. Bisogna invece pensare che dietro la figura dell’arbitro c’è un ragazzo, che si impegna, che fa sport, che è appassionato (in questo caso del gioco del calcio), e che magari si sente protagonista “in senso buono”: deve dare un servizio perché pensiamo che un fallo fischiato correttamente possa evitare per esempio la “vendetta”. Viene naturale no, se l’arbitro non fischia un fallo, di vendicarsi. Se invece l’arbitro ha fischiato perché è preparato, perché è andato a letto la sera prima, perché si è preparato atleticamente e fischia correttamente questo fallo, chi ha subìto il fallo invece pensa: “ok, io ho subito un fallo, ma la mia squadra ha avuto un rigore a favore, l’avversario che mi ha dato un calcio è stato espulso. Bene, possiamo continuare a giocare in pace”. In pochi attimi abbiamo insegnato a dei ragazzini su un terreno di gioco, quindi anche in un momento di divertimento, valori fondamentali come la giustizia: da un fischio corretto si può continuare a giocare in armonia. Questi sono valori universali e deduco, dal silenzio e dall’attenzione degli studenti, che anche loro siano d’accordo. Quanti master, quanti incontri dobbiamo fare per spiegare una cosa così semplice in grado di cambiare la vita di molte persone? Pensiamo alle guerre che ci sono in questo momento”.
Ha parlato tanto di educazione, rispetto e anche di comunicazione. Quanto è importante per il presente e per il futuro, anche nel mondo arbitrale, la comunicazione?
“Io credo che il futuro sia fatto di comunicazione. È importantissimo aprire canali di comunicazione, a tutti i livelli. Un po’ perché c’è tanto pregiudizio: nella figura dell’arbitro, nel diverso, in colui che non fa il mio stesso lavoro, che non ha la mia stessa cultura, che non ha la mia stessa religione, che magari fa il calciatore piuttosto che l’allenatore. Ecco, aprire canali di comunicazione vuol dire farsi conoscere, vuol dire che l’altro non fa più paura perché mi è più vicino: ha gli stessi miei problemi, i miei sogni e i miei ideali. Quindi aprire canali di comunicazione è fondamentale a tutti i livelli. Certo, bisogna parlare la stessa lingua. Lo racconto spesso: Don Milani diceva ‘è la lingua che ci fa uguali. È uguale chi sa esprimersi e sa intendere l’espressione altrui, che sia ricco o povero importa meno’. Aprire canali di comunicazione parlando la stessa lingua può fare la differenza. Stessa lingua vuol dire che l’arbitro del futuro, il calciatore del futuro, l’allenatore del futuro, devono essere un ricercatore e non un presuntuoso”.
Claudio Marchisio, il mio percorso da ragazzo a calciatore
Claudio Marchisio, da lei un ricordo, più che i suoi allenatori, per quelli che hanno rappresentato degli insegnanti.
“Assolutamente. Per l’argomento del convegno era molto più importante parlare dell’esperienza avuta prima: del percorso di crescita da ragazzo per diventare uomo e da sognatore per diventare un calciatore, a come poterlo poi diventare. Quindi sono quelli, secondo me, i percorsi importanti per i giovani: ciò vale sia per i ragazzi che per le ragazze. Inoltre, credo, che gli interventi del magistrato Sergio Sottani, ma anche di Alfredo Trentalange, con le loro parole, le loro esperienze, in ambiti comunque diversi, possano essere state d’aiuto a tutte le persone che ci ascoltavano oggi”.
Ha detto: “io ho imparato tanto e mi sarebbe servito anche se non avessi fatto il calciatore”. Ha manifestato una certa paura: è un papà, con i suoi figli che fanno sport. Secondo lei, certi valori non vengono più insegnati?
“Credo che soprattutto le nuove generazioni stiano vivendo la velocità del mondo che si sta trasformando; andando a questa velocità si vuole orientare quindi ogni ragazzo/ragazza verso un unico obiettivo. Penso invece che dovrebbero crescere con una mente più aperta, valorizzando le proprie capacità ma, nello stesso tempo, avendo la possibilità di cambiare un percorso, perché non sempre quello che sogniamo si può realizzare. Quindi bisogna essere preparati anche al resto”.