Velo islamico: storia di liberazione e oppressione
Il primo febbraio si è celebrato il World Hijab Day, ovvero la Giornata mondiale del velo islamico: una campagna lanciata nel 2013 da Nazma Khan, newyorkese originaria del Bangladesh, per testimoniare solidarietà con le donne musulmane che, come lei, indossano il velo (hijab) in segno di rispetto per la legge islamica e le tradizioni locali.
Quella del velo islamico è una storia che parla di imposizioni e di tirannia, ma anche di battaglie, rivoluzioni e resistenza. È una storia di donne che, con tenacia, hanno lottato ogni giorno per la conquista dei loro diritti. Nell’arco di quasi un secolo, il velo islamico è stato il simbolo di realtà contrapposte: prima di liberazione, poi di oppressione.
Il velo come simbolo di liberazione
Riportiamo le lancette dell’orologio indietro nel tempo. Precisamente, a 87 anni fa. Siamo in Iran, nel 1936: il paese non è governato da una teocrazia, ma dal regime dello scià Reza Pahlavi, che porta avanti una forte idea di modernizzazione e occidentalizzazione dell’Iran. In linea con questo pensiero, lo scià emana un decreto (intitolato “Kashf-e hijab”, letteralmente “svelamento”) che impone alle donne il divieto di indossare qualsiasi tipo di velo islamico in pubblico. Il gesto dello scià viene visto come una vera e propria forma di abuso, e i semi della protesta iniziano a germogliare nelle comunità più conservatrici. Passano cinque anni: è il 1941 e lo scià abdica in favore del figlio Mohammad Reza Pahlavi. Il nuovo sovrano abroga il “Kashf-e hijab” e concede alle donne la libertà di vestirsi come desiderano, con o senza velo. In realtà il suo governo mette in atto forme di discriminazione contro le donne che decidono di indossare il velo, escludendole per esempio dall’accesso alle cariche pubbliche. Iniziano le proteste: molte donne appartenenti sia ai ceti più conservatori sia alla classe media (istruite e benestanti) scendono in piazza con il velo, rivendicando il diritto ad indossarlo. A tutti gli effetti, il velo inizia a diventare il simbolo politico della resistenza contro il regime monarchico dello scià, il simbolo della liberazione e dell’opposizione contro un regime ingiusto e discriminatorio.
Il velo come simbolo di oppressione
La situazione si ribalta completamente qualche anno più avanti: siamo nel 1979, l’Iran è investito dalla cosiddetta ‘rivoluzione islamica’, che costringe lo scià a fuggire dal paese. Al suo posto sale al potere l’ayatollah Ruhollah Khomeini, che assume il pieno controllo della vita politica e istituzionale dell’Iran. In poco tempo Khomeini e i suoi rivoluzionari impongono una rigida teocrazia, che prevede per tutte le donne l’obbligo di indossare il velo. In opposizione alla legge, l’8 marzo 1979, ha inizio una grande manifestazione per la libertà di scelta delle donne su come vestirsi: 100mila donne si riversano nelle strade di Teheran e manifestano per il loro diritto di scegliere. Seppur temporaneamente, la ribellione funziona: il regime ritira l’imposizione del velo. Questo, almeno, fino al 1981, anno in cui indossare il velo torna a essere obbligatorio, cui segue una legge approvata due anni dopo che impone pene corporali (74 frustate) in caso di protesta. Da quel momento, i movimenti femminili del paese iniziano a sfruttare ogni occasione per ottenere o modificare i diritti delle donne, sfidando il sistema con manifestazioni e proteste.
Il velo nelle proteste più recenti
La situazione, da allora, non è cambiata molto: la legge sullo hijab obbligatorio, infatti, è rimasta motivo di arresto di moltissime attiviste iraniane. Si pensi a Vida Movahedi, la ragazza che nel dicembre del 2017 è stata immortalata mentre sventolava come una bandiera il suo hijab bianco, e che per questo è stata arrestata e condannata a un anno di carcere. Un atto dimostrativo pacifico che ha incoraggiato centinaia di donne a protestare nello stesso modo, a togliersi cioè il velo in un luogo pubblico e a postare sui social l’immagine del loro gesto. Tuttavia, la mobilitazione più consistente si verifica senz’altro dopo l’uccisione di Mahsa Amini, 22 anni, arrestata e uccisa poiché non indossava correttamente il velo. Con la morte di Mahsa, le proteste e le marce raggiungono una dimensione nazionale, trasformandosi in una denuncia collettiva non solo contro il velo, ma più estesamente contro l’integralismo religioso del regime iraniano. Il velo, usato in passato dal regime come simbolo della propria ideologia, inizia ad essere bruciato nelle piazze in segno di dissenso: “bruciare il velo” assume in un certo senso lo stesso significato di “bruciare la bandiera”.
Nonostante la percezione del velo abbia assunto spesso posizioni differenti e opposte, un elemento rimasto costante c’è: il valore simbolico che le donne hanno attribuito al velo per portare avanti le battaglie per i loro diritti.